domenica 29 aprile 2012

Chaos in Downtown

Il film "Rambo" è un classico della cinematografia popolare...lo conoscono tutti. Tipico film di azione con armi pesanti e furore della guerriglia. Esplosioni, morti ammazzati e distruzione sfrenetica. In realtà la trama è molto più complessa di quanto possa apparire. Dietro l'immagine di J.J. Rambo c'è un personaggio molto comune nella cultura americana: il reduce di guerra.
Rambo, giovane soldato poco piu' che diciottenne, viene arruolato dall'esercito per andare a combattere un'altra guerra in un paese sperduto del mondo, lontanissimo dalla cultura statunitense. Come tutti i soldati, J.J. viene addestrato ad odiare il proprio nemico ed a usare qualsiasi mezzo per distruggerlo, fino alla nausea, fino a quando la "jarhead" non sarà riempita della violenza e delle atrocità della guerra. E non sarà abbastanza.
Nel caso della Guerra del Vietnam, un'altra guerra contro l'acerrimo nemico "rosso", il clima negli Stati Uniti era molto controverso. I movimenti studenteschi ed la grande ondata dell'amore degli Hippis, si contrapponevano al potere conservatore e violento dell' american dream di anni '50 e '60, mentre dall'altra parte del mondo, dei giovani americani venivano mandati a morire con la convinzione, ben piazzata nel cervello, di dover "salvare la patria" dalla probabile invasione comunista e  di un'altrettanto possibile sterminio nel continente nordamericano.
Così, l'eroe Rambo, porta morte e distruzione per tutto il Vietnam, dimenticandosi di quel suo Paese lontano che dovrebbe salvare, che per lui ormai è solo il nome di un posto idilliaco dove poter essere in pace.
Tornato in America, con le sue belle medaglie e la testa piena di atrocità viste in anni di violenza, pensa finalmente di aver fatto il suo dovere e di potersi riposare. Ma il tempo è percepito in maniera diversa in posti diversi quindi, mentre Rambo in Vietnam, ben addestrato dall'esercito americano, distrugge e ammazza come gli hanno insegnato, in America, la popolazione si indigna e si arrabbia per cio' che vede della guerra dal suo televisore in bianco e nero. I "figli dei fiori" non vogliono far la guerra, anzi la odiano, e i "rednecks" continuano a seguire la stile di vita conservatore uniformato e capitalista dell' "american dream".
Rambo è nel mezzo. Vorrebbe avere pace e amore come gli Hippies, ma loro "gli sputano in faccia e lo chiamano assassino", mentre la società civile nella quale era cresciuto non lo riconosce, mutato e cambiato dagli orrori della guerra, e non lo accetta, anzi vuole ucciderlo.
Cosa puo' fare una cellula impazzita del sistema che non riesce più e vivere in una maniera considerata "normale"? Niente, se non quello che gli  è stata insegnato. Uccidere e distruggere.
Da notare che negli Stati Uniti non vi sono mai stati attacchi diretti da eserciti stranieri, ad eccezione (forse) della guerra di indipendenza ed escludendo l'attacco a Pearl Harbur e alle Torri Gemelle, e quindi la società civile non ha mai subito le conseguenze dirette di una guerra combattuta a casa loro.
Rambo ormai è solo, ha trovato la sua "casa" solo nelle atrocità quotidiane del Vietnam e quindi, cerca di riportare quella suo quotidianeità in una piccola cittadina di provincia del West, per salvarsi da coloro che in principio voleva e doveva difendere. Come a dire " io sono un Vostro risultato, mi avete fatto Voi così ed ora Vi mostro ciò che ho appreso da Voi." Morte e distruzione.


Una grande fetta della popolazione americana ( circa 25 milioni di americani, fonte: Internazionale n° 938 del 2/8 Marzo 2012) è composta da reduci di qualche guerra e spesso capitano delle situazioni alla "rambo", dove qualche cellula impazzisce.
Per quei ragazzi ( "tutti quei ragazzi...", cit.) la realtà è incompatibile sotto molti aspetti, con quella che gli è stata inculcata a forza nella testa fino alla nausea e le loro vite sono ormai segnate con un marchio indelebile.

martedì 24 aprile 2012

Depressione Capitale


Durante la "Grande Depressione" americana  i coltivatori del Midwest furono costretti, a causa di ipoteche sulle loro terre e/o a causa delle tempeste di sabbia, ad emigrare verso la ricca e fertile California. Venivano chiamati con il dispregiativo di "Okies " , poiché la maggior parte di loro veniva dall' Oklahoma . Costretti a vivere da vagabondi in cerca di lavoro stagionale, ed accampati nelle cosiddette Hooverville, dal nome del presidente Herbert Hoover : nient'altro che baraccopoli nei dintorni delle città.

In Italia li chiamavano ( o li chiamano) "terroni". Lavoratori che dal Sud, agricolo e poco industrializzato, andavano verso il "triangolo industriale" tra Milano, Torino e Genova. Interi quartieri di queste città erano abitati, come piccoli ghetti, da calabresi, pugliesi, siciliani o lucani.

In Germania, dopo la seconda guerra mondiale, i lavoratori immigrati che arrivavano per ricostruire strade, fogne e quant'altro venivano chiamati "gastarbeiter" cioè "lavoratori ospiti", perché restavano 6 mesi o un anno al massimo e poi ritornavano nei rispettivi paesi. ( Nds: i tedeschi sono sempre molto precisi: lavori, guadagni e te ne vai.)

Sempre in America, gli emigrati italiani che lavoravano a giornata, venivano chiamati "daygo" appunto perché con la loro misera conoscenza dell'inglese riuscivano solo a dire "one day and go", indicando ai vari caporali che non sarebbero rimasti a lavorare per molto, ma si accontentavano del poco.

In Arabia Saudita, in Dubai ed in India, sono i bengalesi, con i loro abiti di lino e le loro misere speranze di una vita migliore, che lavorano senza sosta sotto il sole per pochi dollari da inviare a casa tramite fidati connazionali.

In Sicilia, in Calabria, in Puglia, sono i così detti "extra comunitari" di colore, arrivati con barconi fatiscenti, dopo aver attraversato il deserto e il mare, provenienti dalla Nigeria, dal Niger, dalla Sierra Leone o dal Mali,  che raccolgono pomodori, arance, limoni per pochi euro a cassetta. Anche loro, come gli altri, sono costretti a vivere in alloggi di fortuna forniti dagli stessi caporali senza la minima igiene.

Moldavi, bengalesi, italiani, africani, non ha importanza la provenienza siamo tutti uguali per necessità e per desideri. Per gli "opulenti" imprenditori sono (siamo) solo braccia da sfruttare per abbassare i costi di produzione e per gli indigeni, allo stesso tempo, sono (siamo) solo invasori venuti a rubare.

Una cosa certa è che le persone si muovono e si spostano seguendo il denaro e le speranze illuse dal sistema capitalista, che promette tutto in cambio della propria vita.